martedì 24 febbraio 2015

Tenta di influenzare il consulente tecnico del Pm? E' intralcio alla giustizia



Le sezioni unite penali, con la sentenza n. 51824/2014, risolvono il contrasto sul momento di consumazione del reato di intralcio alla giustizia mediante offerta di danaro al consulente del pubblico ministero.

Le sezioni unite penali risolvono il contrasto sul momento di consumazione del reato di intralcio alla giustizia mediante offerta di danaro al consulente del pubblico ministero ed affermano che nel caso di offerta o di promessa di denaro o altre utilità al consulente tecnico del pubblico ministero, al fine di influire sul contenuto della consulenza si integra il reato di intralcio alla giustizia previsto dall’art. 377 c.p.

Il Primo Presidente della Corte, con decreto del 25 marzo 2013, aveva assegnato alle Sezioni Unite il ricorso nel quale si poneva la questione se fosse configurabile l’ipotesi di intralcio alla giustizia, di cui all’art. 377 c.p. (rubrica che sostituisce dal 2006 quella precedente di subornazione, a seguito della ratifica ed esecuzione, con legge 16 marzo 2006 n. 46, della Convenzione dell’ONU contro il crimine organizzato transnazionale – cd Convenzione di Palermo o Toc Convention)-), nel caso di offerta o di promessa di danaro o altra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza, e ciò anche qualora il consulente tecnico non sia stato ancora citato per essere sentito sul contenuto della consulenza.

Infatti nel caso di specie la Corte era stata investita del ricorso nel quale si sosteneva che poiché la condotta (offerta di danaro o altra utilità) era stata posta in essere prima della citazione a testimone del consulente del pubblico ministero il reato non potesse configurarsi; una posizione sostenuta in adesione ad una risalente giurisprudenza che aveva dato una lettura restrittiva del contenuto del citato art. 377 c.p.

Questi, infatti, disciplina l’ipotesi di “offerta o promessa di danaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria, ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore, o alla persona chiamata a svolgere l’attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurlo a commettere i reati previsti dagli artt. 371 bis (false informazioni al pubblico ministero), 371 ter (false dichiarazioni al difensore), 372 (falsa testimonianza), 373 (falsa perizia) c.p.”

Il collegio remittente aveva preso atto che l’opinione prevalente fosse nel senso che fra i destinatari della condotta criminosa sarebbe ricompreso solo il consulente tecnico nominato dal giudice civile, ma aveva svolto una serie di considerazioni tese a dimostrare la inclusione anche del consulente del pubblico ministero tra i soggetti nei cui confronti possono rivolgersi “le attenzioni” di chi ne vuole condizionare il compito.

In primis la Corte aveva evidenziato che anche se il consulente tecnico non è un testimone in senso proprio (come indicato dall’art. 194 c.p. p.), in quanto non riferisce fatti, ma esprime valutazioni su materie che richiedono competenze specifiche, pur tuttavia questi può affermare o negare il vero, secondo la previsione del citato articolo 372 c.p., o rendere dichiarazioni false, secondo la previsione dell’art. 371 bis c.p.

Per quanto riguarda più in particolare la specifica questione la Corte aveva evidenziato che il consulente del pubblico ministero, pur prestando un’attività di ausilio ad una parte del processo, “ripete dalla funzione pubblica che assiste i relativi connotati”, atteso che ha il dovere, connaturato ad ogni funzione pubblica, di obiettività ed imparzialità, stante il fine pubblico, così da svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini.

Ed allora, se anche in genere la qualità di testimone viene assunta nel momento dell’autorizzazione del giudice alla citazione (ai sensi dell’art. 468, comma 2, c.p. p.), l’ordinanza riteneva che qualora il soggetto sul quale viene esercitata la attività induttiva o violenta sia il consulente del pubblico ministero, poiché questi riveste già una precisa veste processuale potenzialmente destinata a rifluire sull’assunzione della qualità di testimone (una qualità che la corte qualifica come immanente), il reato di cui all’art. 377 c.p. si sarebbe dovuto configurare anche prima della citazione del consulente.

Da qui la necessità di richiedere alle Sezioni Unite un intervento definivo, privilegiando la opzione più rigorosa ed affermando la illiceità penale della condotta di offerta o promessa di denaro o altre utilità al consulente tecnico del pubblico ministero, al fine di influire sul contenuto della consulenza, e così affermando la integrabilità del reato di cui al citato art. 377 cod. pen.

La decisione ha tardato a giungere in quanto le Sezioni Unite, nell’udienza del 13 giugno 2013, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 322, comma secondo, del codice penale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,. “nella parte in cui l’offerta o la promessa di denaro o latra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza prevede una pena superiore a quella di cui all’art. 377, comma primo, c.p., in relazione all’art. 373 c.p.” Con sentenza n. 163 del 2014 la Corte Costituzionale ha ritenuto di non potere condividere le conclusioni della citata ordinanza delle Sezioni unite, nella parte in cui non si era ritenuto applicabile nel caso in esame l’art. 377 c.p., con riferimento all’art. 372 c.p., per essere il contenuto degli accertamenti eseguiti dal consulente di natura valutativa.

Preso atto di quanto sopra le Sezioni Unite sono ritornate ad affrontare la questione ricordando preliminarmente che il legislatore del 2006 è intervenuto sulla previgente disposizione, rinominando il delitto precedente come richiesto dalla Convenzione (intralcio alla giustizia) ed aggiungendo due ulteriori commi per punire le condotte di violenza e minaccia; mentre i primi due commi continuano a punire le medesime condotte del vecchio delitto di subornazione.

La decisione ha poi escluso che la falsa consulenza redatta dal consulente dell’accusa possa integrare il delitto di falsa perizia, di cui all’art. 373 c.p., in quanto il Ct del pubblico ministero non è equiparabile al perito nominato dal giudice.

La Corte ha ritenuto che la (vecchia) subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero sia idonea ad integrare il delitto di intralcio alla giustizia, e ciò non per il richiamo, contenuto del primo comma dell’art. 377 c.p. alla falsa perizia, ma per quello alla falsa testimonianza ed alle false informazioni al pubblico ministero (artt. 372 e 371 bis c.p.); ciò in quanto il consulente viene sentito a dibattimento sul contenuto della consulenza nelle forme dell’esame testimoniale. Di conseguenza l’offerta di utilità per influire sul risultato della consulenza è destinata ad incidere anche sulle dichiarazioni rese dal consulente quale teste (potendo egli “affermare il falso o negare il vero”), in quanto trattasi di una qualità (di teste) che se anche non formalmente assunta, può ritenersi immanente,quale prevedibile e necessario sviluppo della funzione assegnatagli.

Le Sezioni Unite hanno in proposito condiviso le valutazione della sezione remittente, sostenendo che il consulente tecnico del pubblico ministero, pur prestando attività di ausilio ad una parte del processo, presenta peculiarità specifiche, che gli derivano dal quelle dell’organo che coadiuva, tanto da acquistare natura di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, con il dovere di obiettività ed imparzialità

Conseguentemente le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per il quale “l’offerta o la promessa di denaro o latra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero finalizzata a influire sul contenuto della consulenza integra il delitto di intralcio alla giustizia di cui all’art. 377 c.p. in relazione alle ipotesi di cui agli artt. 371 bis o 372 c.p.”.

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