giovedì 26 febbraio 2015

Agli avvocati le compravendite di immobili, ma i notai non ci stanno Il Notariato chiede un incontro urgente al Ministro della Giustizia sul ddl Concorrenza. Critici anche Confprofessioni e commercialisti



26/02/2015 - Il Consiglio Nazionale del Notariato ha chiesto al Ministro della Giustizia Andrea Orlando un incontro urgente per esporgli i rischi connessi ad alcune disposizioni contenute nel ddl Concorrenza, approvato nel Consiglio dei Ministri del 20 febbraio scorso.

Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza

Al centro della questione, l’articolo 29 che, se confermato, consentirà anche agli avvocati, e non più soltanto ai notai, l’autenticazione degli atti e delle dichiarazioni di cessione o donazione di immobili ad uso non abitativo di valore catastale fino a 100.000 euro.

Secondo i notai, l’eliminazione del controllo preventivo di legalità del notaio per queste transazioni “porta con sé potenziali effetti distorsivi della concorrenza, che alterano il mercato e creano condizioni di svantaggio competitivo in danno dell’utenza”.

I notai richiamano le posizioni espresse daConfprofessioni, secondo la quale “questo disegno di legge consegna il mercato dei servizi professionali alle lobby delle banche e delle assicurazioni e a pagarne le conseguenze saranno i cittadini e i professionisti. L’imparzialità, la terzietà e il controllo antiriciclaggio garantiti dall’intervento notarile rischiano di essere cancellati unitamente alle altre garanzie che il sistema professionale italiano offre ai cittadini”.

“Non vedo alcun vantaggio per i cittadini, ma solo la volontà di trasferire un’ampia fetta del mercato dei servizi professionali ai grandi gruppi industriali e alle banche” - afferma il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella.

“Con la scusa di attaccare presunte rendite di posizione - prosegue la nota di Confprofessioni - si vuole far credere ai cittadini che non avranno più vincoli e potranno muoversi liberamente sull'asfittico mercato dei servizi professionali, mail prezzo da pagare sarà altissimo perché cadranno tutte quelle garanzie di imparzialità e terzietà che in tutta Europa contraddistinguono la prestazione professionale”.

“Il ddl sulla concorrenza non considera lo stato di crisi del comparto delle professioni. Siamo di fronte a una finta liberalizzazione, perché il mercato sottostante sta crollando, nonostante l’ottimismo dei numeri dichiarati dal governo” - conclude Stella.

Secondo l’Associazione Italiana Giovani Notai (Asign), il testo del ddl “sembra più diretto a minare quello che da sempre è il delicato rapporto di competenze tra notai e avvocati, piuttosto che agevolare il cittadino nel fruire dei servizi ivi indicati. La previsione dei trasferimenti immobiliari ad uso non abitativo sembra consentire anche agli avvocati di essere fautori di tali trasferimenti. Il testo, però, tradisce il senso vero delle liberalizzazioni.

“Tanto più che pone come onere alla parte acquirente o donataria o mutuataria di dare le comunicazioni agli uffici competenti dell’avvenuta sottoscrizione davanti all’avvocato del trasferimento immobiliare. Quale onesto cittadino se la sentirà di assumersi tali oneri? Di quali garanzie parliamo?” prosegue la nota di Asign.

“Il presidio di legalità nei trasferimenti immobiliari e nelle operazioni societarie, la tutela del terzo data dall’efficienza dei pubblici registri sono solo alcune delle operazioni che consentono al cittadino, agli investitori, stranieri e non, di poter avere fiducia in un mercato che non sia drogato da irregolarità o da realtà apparenti” concludono i giovani notai.

Ma se per gli avvocati si aprono nuove opportunità di lavoro, i commercialisti sono critici: “Se la ratio della norma è quella di allargare la platea dei professionisti a quelli che autenticano la firma del cliente nel mandato alle liti - afferma il presidente del Consiglio Nazionale dei commercialisti, Gerardo Longobardi-, non si comprende perché siano stati esclusi dalla previsione normativa i commercialisti, che abilitati alla difesa tributaria dei contribuenti, già autenticano la firma di questi ultimi. Se invece la ratio era quella di individuare professionisti dotati di specifica competenza in materia, ricordiamo che i commercialisti, accanto ai notai e agli avvocati, già dal 2005 vengono delegati alle operazioni di vendita dei beni immobili nel processo esecutivo”.

Fonte EDILPORTALE.COM

mercoledì 25 febbraio 2015

Responsabilità civile dei magistrati: il testo della riforma approvata in via definitiva Disegno di legge , approvato definitivamente dalla Camera il 24.02.2015 n° 2738



Approvata ieri in via definitiva dalla Camera dei Deputati la proposta di legge A.C. 2738 sulladisciplina della responsabilità civile dei magistrati, riformando la legge Vassalli (Legge 13 aprile 1988, n. 117) a favore di un raccordo con il diritto dell’Unione Europea. 

La precedente disciplina era stata oggetto di una condanna dell'Italia con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 24 novembre 2011 (C-379/10), e aveva provocato l’apertura di due procedure di contenzioso con la Commissione europea.

Con le nuove disposiszioni il danno patrimoniale e non patrimoniale sarà da asserire in conseguenza di un atto o provvedimento giudiziario di un magistrato agente con “dolo” o “colpa grave” nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero di un “diniego di giustizia”, “il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento” (art. 3, comma 1, L. 117/88).

Le fattispecie di colpa grave del magistrato con le nuove disposizioni prevede le seguenti ipotesi::
la "violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea" (tale formulazione segue le tracce della sentenza della CGUE Traghetti del mediterraneo);
il travisamento del fatto o delle prove (ipotesi del tutto nuova);
l'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
l'emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti dalla legge oppure senza motivazione.

Altra importante novità riguarda la c.d. clausola di salvaguardia. Secondo il nuovo articolo 2 – che conferma comunque le norme preesistenti – il magistrato rimane inerme se, durante l’attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove, agisce con dolo o colpa grave (come configurata dal nuovo articolo 3), ovvero se egli viola manifestamente la legge e il diritto dell’Unione Europea.

FONTE: (Altalex, 25 febbraio 2015. Nota di Angelo Giraldi)

martedì 24 febbraio 2015

Tenta di influenzare il consulente tecnico del Pm? E' intralcio alla giustizia



Le sezioni unite penali, con la sentenza n. 51824/2014, risolvono il contrasto sul momento di consumazione del reato di intralcio alla giustizia mediante offerta di danaro al consulente del pubblico ministero.

Le sezioni unite penali risolvono il contrasto sul momento di consumazione del reato di intralcio alla giustizia mediante offerta di danaro al consulente del pubblico ministero ed affermano che nel caso di offerta o di promessa di denaro o altre utilità al consulente tecnico del pubblico ministero, al fine di influire sul contenuto della consulenza si integra il reato di intralcio alla giustizia previsto dall’art. 377 c.p.

Il Primo Presidente della Corte, con decreto del 25 marzo 2013, aveva assegnato alle Sezioni Unite il ricorso nel quale si poneva la questione se fosse configurabile l’ipotesi di intralcio alla giustizia, di cui all’art. 377 c.p. (rubrica che sostituisce dal 2006 quella precedente di subornazione, a seguito della ratifica ed esecuzione, con legge 16 marzo 2006 n. 46, della Convenzione dell’ONU contro il crimine organizzato transnazionale – cd Convenzione di Palermo o Toc Convention)-), nel caso di offerta o di promessa di danaro o altra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza, e ciò anche qualora il consulente tecnico non sia stato ancora citato per essere sentito sul contenuto della consulenza.

Infatti nel caso di specie la Corte era stata investita del ricorso nel quale si sosteneva che poiché la condotta (offerta di danaro o altra utilità) era stata posta in essere prima della citazione a testimone del consulente del pubblico ministero il reato non potesse configurarsi; una posizione sostenuta in adesione ad una risalente giurisprudenza che aveva dato una lettura restrittiva del contenuto del citato art. 377 c.p.

Questi, infatti, disciplina l’ipotesi di “offerta o promessa di danaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria, ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore, o alla persona chiamata a svolgere l’attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurlo a commettere i reati previsti dagli artt. 371 bis (false informazioni al pubblico ministero), 371 ter (false dichiarazioni al difensore), 372 (falsa testimonianza), 373 (falsa perizia) c.p.”

Il collegio remittente aveva preso atto che l’opinione prevalente fosse nel senso che fra i destinatari della condotta criminosa sarebbe ricompreso solo il consulente tecnico nominato dal giudice civile, ma aveva svolto una serie di considerazioni tese a dimostrare la inclusione anche del consulente del pubblico ministero tra i soggetti nei cui confronti possono rivolgersi “le attenzioni” di chi ne vuole condizionare il compito.

In primis la Corte aveva evidenziato che anche se il consulente tecnico non è un testimone in senso proprio (come indicato dall’art. 194 c.p. p.), in quanto non riferisce fatti, ma esprime valutazioni su materie che richiedono competenze specifiche, pur tuttavia questi può affermare o negare il vero, secondo la previsione del citato articolo 372 c.p., o rendere dichiarazioni false, secondo la previsione dell’art. 371 bis c.p.

Per quanto riguarda più in particolare la specifica questione la Corte aveva evidenziato che il consulente del pubblico ministero, pur prestando un’attività di ausilio ad una parte del processo, “ripete dalla funzione pubblica che assiste i relativi connotati”, atteso che ha il dovere, connaturato ad ogni funzione pubblica, di obiettività ed imparzialità, stante il fine pubblico, così da svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini.

Ed allora, se anche in genere la qualità di testimone viene assunta nel momento dell’autorizzazione del giudice alla citazione (ai sensi dell’art. 468, comma 2, c.p. p.), l’ordinanza riteneva che qualora il soggetto sul quale viene esercitata la attività induttiva o violenta sia il consulente del pubblico ministero, poiché questi riveste già una precisa veste processuale potenzialmente destinata a rifluire sull’assunzione della qualità di testimone (una qualità che la corte qualifica come immanente), il reato di cui all’art. 377 c.p. si sarebbe dovuto configurare anche prima della citazione del consulente.

Da qui la necessità di richiedere alle Sezioni Unite un intervento definivo, privilegiando la opzione più rigorosa ed affermando la illiceità penale della condotta di offerta o promessa di denaro o altre utilità al consulente tecnico del pubblico ministero, al fine di influire sul contenuto della consulenza, e così affermando la integrabilità del reato di cui al citato art. 377 cod. pen.

La decisione ha tardato a giungere in quanto le Sezioni Unite, nell’udienza del 13 giugno 2013, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 322, comma secondo, del codice penale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,. “nella parte in cui l’offerta o la promessa di denaro o latra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza prevede una pena superiore a quella di cui all’art. 377, comma primo, c.p., in relazione all’art. 373 c.p.” Con sentenza n. 163 del 2014 la Corte Costituzionale ha ritenuto di non potere condividere le conclusioni della citata ordinanza delle Sezioni unite, nella parte in cui non si era ritenuto applicabile nel caso in esame l’art. 377 c.p., con riferimento all’art. 372 c.p., per essere il contenuto degli accertamenti eseguiti dal consulente di natura valutativa.

Preso atto di quanto sopra le Sezioni Unite sono ritornate ad affrontare la questione ricordando preliminarmente che il legislatore del 2006 è intervenuto sulla previgente disposizione, rinominando il delitto precedente come richiesto dalla Convenzione (intralcio alla giustizia) ed aggiungendo due ulteriori commi per punire le condotte di violenza e minaccia; mentre i primi due commi continuano a punire le medesime condotte del vecchio delitto di subornazione.

La decisione ha poi escluso che la falsa consulenza redatta dal consulente dell’accusa possa integrare il delitto di falsa perizia, di cui all’art. 373 c.p., in quanto il Ct del pubblico ministero non è equiparabile al perito nominato dal giudice.

La Corte ha ritenuto che la (vecchia) subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero sia idonea ad integrare il delitto di intralcio alla giustizia, e ciò non per il richiamo, contenuto del primo comma dell’art. 377 c.p. alla falsa perizia, ma per quello alla falsa testimonianza ed alle false informazioni al pubblico ministero (artt. 372 e 371 bis c.p.); ciò in quanto il consulente viene sentito a dibattimento sul contenuto della consulenza nelle forme dell’esame testimoniale. Di conseguenza l’offerta di utilità per influire sul risultato della consulenza è destinata ad incidere anche sulle dichiarazioni rese dal consulente quale teste (potendo egli “affermare il falso o negare il vero”), in quanto trattasi di una qualità (di teste) che se anche non formalmente assunta, può ritenersi immanente,quale prevedibile e necessario sviluppo della funzione assegnatagli.

Le Sezioni Unite hanno in proposito condiviso le valutazione della sezione remittente, sostenendo che il consulente tecnico del pubblico ministero, pur prestando attività di ausilio ad una parte del processo, presenta peculiarità specifiche, che gli derivano dal quelle dell’organo che coadiuva, tanto da acquistare natura di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, con il dovere di obiettività ed imparzialità

Conseguentemente le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per il quale “l’offerta o la promessa di denaro o latra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero finalizzata a influire sul contenuto della consulenza integra il delitto di intralcio alla giustizia di cui all’art. 377 c.p. in relazione alle ipotesi di cui agli artt. 371 bis o 372 c.p.”.

domenica 22 febbraio 2015

Piccole compravendite senza notaio e sconti su Rc Auto: ecco le nuove liberalizzazioni

Annunciata e temuta, alla fine è arrivata quella che lo stesso Matteo Renzi definisce una «sforbiciata» contro rendite di posizione e lobby, che bisognerà ben fronteggiare anche durante il (lungo) passaggio in Parlamento. 

Una nuova "lenzuolata" di liberalizzazioni, quella contenuta nel ddl concorrenza, che va dall'energia alle assicurazioni, dalle comunicazioni alle poste, passando per banche e professioni. Niente di fatto invece sui porti, per i quali se ne riparlerà, su pressing del ministro Lupi con la riforma della portualità, così come sui farmaci di fascia C, che si continueranno a vendere solo in farmacia, tra le proteste di parafarmacisti e consumatori e l'esultanza della categoria.

Medicinali e farmacie. Sui medicinali con ricetta (ma a carico dei cittadini) si era consumata una battaglia alla luce del sole tra la titolare della Salute, Beatrice Lorenzin, e il ministro dello Sviluppo Federica Guidi. Tanto che il ministro di Ncd ha twittato la sua «vittoria», che chiaramente è anche quella «dei cittadini», a Consiglio dei ministri ancora in corso. Una riunione molto lunga, quella del governo, oltre quattro ore e mezza, durante le quali c'è stato «un lavoro molto puntiglioso sulle misure», come ha spiegato la titolare dello Sviluppo.

Taxi e Ncc. Diverse, peraltro, le norme circolate nelle bozze e che alla fine non hanno trovato posto nel testo definitivo del ddl Guidi: dalla liberalizzazione degli sconti sui libri a quelle sui taxi che avrebbero potuto favorire la concorrenza di Ncc (il noleggio con conducente) e anche del nuovo servizio via app di Uber.

Sanità. Via anche alcune norme per favorire l'ingresso dei privati in sanità, come lo stop all'ok anche delle Regioni in base ai fabbisogni sanitari per l'apertura di nuove strutture. Il pacchetto resta comunque ricco di novità e punta a «far calare le tariffe o diminuire i prezzi, aprendo pezzi di mercato oggi non tanto accessibili per nuove iniziative imprenditoriali», come ha sottolineato il ministro Guidi ricordando che si tratta di interventi che, da stime Ocse, possono far crescere il Pil in 5 anni fino a 2,5 punti in più.

Assicurazioni. A partire dall'obbligo per le assicurazioni di mettere a punto pacchetti «con forti sconti» sulle tariffe per quegli automobilisti che accetteranno alcune condizioni, come farsi montare in auto la scatola nera o il rilevatore del tasso alcolico.

Notai. O come la riduzione dei casi in cui sarà necessario rivolgersi al notaio, che vanno da una serie di atti per cui basterà la firma digitale, alle compravendite sotto i 100mila euro, che si potranno sottoscrivere anche solo davanti all'avvocato (con rischi di abusi e frodi, in particolare rispetto alle fasce più deboli, secondo il Consiglio del notariato).

Avvocati. Novità anche per gli avvocati che saranno obbligati a presentare il preventivo e potranno tra l'altro far entrare soci di capitali nelle loro società. Stessa possibilità per le società di farmacisti, per i quali si elimina anche il tetto alla titolarità di massimo 4 licenze, aprendo la strada alle multinazionali e alla creazione di catene di farmacie.

Luce e gas. Destino segnato poi per il mercato di maggior tutela per luce e gas, che «gradualmente» in un percorso di tre anni, sarà abolito dal 2018, e via i vincoli regionali per l'apertura di nuove pompe di benzina. Con l'attuazione del ddl poi i contratti di fornitura di servizi, dai telefoni, a Internet alle pay-tv, dovranno essere più chiari soprattutto in materia di penali, come una spinta alla trasparenza arriva per i conti corrente, mentre si agevola la piena portabilità per i fondi pensione.

Poste. Salta infine la "riserva" delle Poste (che esiste ancora in Ue solo in Portogallo e Ungheria) sulla consegna di atti giudiziari e notifiche di sanzioni da parte della P.a. (come le multe)


Fonte : IL MATTINO.IT

mercoledì 18 febbraio 2015

Contanti, tassa in arrivo per i versamenti oltre 200 euro


Il governo dichiara guerra ai contanti. Nel cdm di venerdì prossimo vedrà la luce una nuova misura che obbliga a versare un'imposta di bollo proporzionale ai versamenti giornalieri superiori ai 200 euro. Obiettivo: favorire i pagamenti elettronici. E le banche ringraziano


Il governo va avanti sulla lotta all'evasione fiscale. Nel cdm di venerdì prossimo, infatti, l'esecutivo dovrebbe dare via libera a una serie di misure sulla tracciabilità dei pagamenti che saranno contenute nel decreto sulla fatturazione elettronica.Ad anticiparlo è il Sole 24 Ore, secondo cui la prima misura riguarda laguerra ai contanti. Si punta infatti ad introdurre un’imposta di bollo proporzionale ai versamenti giornalieri superiori ai 200 euro. Misura, questa, che sarebbe anche molto gradita alle banche visto che farebbe aumentare i profitti sulle operazioni di accredito elettronico e allo stesso diminuire i costi di gestione del contante. 

L'obiettivo è quello di favorire i pagamenti elettronici. E il primo passo sarà rendere obbligatorio dal 2017 per commercianti, artigiani e professionisti la memorizzazione e la trasmissione telematica al fisco di tutti i corrispettivi giornalieri per dire addio allo scontrino di carta. L’obbligo riguarderà anche la grande distribuzione e tutti i soggetti che oggi sono sul mercato con i distributori automatici

martedì 17 febbraio 2015

Corte di Cassazione: stato depressivo e revoca della custodia cautelare in carcere

La previsione di cui all'articolo 299, comma 4 ter, c.p.p. impone al giudice la nomina del perito solo se sussiste un apprezzabile fumus e cioè se risulti formulata una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario, o comunque si prospetti una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere. 

La sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all'articolo 274 comma primo lett. c) c.p.p, deve essere desunta sia dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, che dalla personalità dell'imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati.

È quanto afferma la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5934 del 10 febbraio 2015 che ha rigettato il ricorso presentato avverso l'ordinanza che aveva respinto l'istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. 

Nel caso in esame, il giudice della cautela aveva disposto l'acquisizione di informazioni presso la casa circondariale in ordine alle condizioni di salute dell'imputato che -secondo quanto scritto nell'istanza- versava in stato di grave depressione e veniva controllato a vista nel timore di gravi atti autolesionistici. Il g.i.p provvedeva lo stesso giorno in cui perveniva la relazione tenendo conto del parere negativo espresso dal p.m, non essendo stata disposta la chiesta perizia. 

Per il giudice di ultima istanza, il giudice ha l'obbligo di disporre la perizia solo se sono evidenziate ragioni di salute riconducibili alla previsione di cui all'articolo 275 comma 4 bis c.p.p e cioè: l'essere il richiedente persona affetta da AIDS conclamata o da gravi deficienze immunitarie accertate ai sensi dell'articolo 256 bis, comma 2 c.p.p ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere. 

A far scattare l'obbligo di nominare un perito non basta prospettare una qualsivoglia malattia, ma occorre che venga evidenziata e circostanziata una patologia particolarmente grave, la cui cura non sia compatibile con il regime carcerario, anche nei centri clinici particolarmente attrezzati disponibili all'interno di talune strutture dell'amministrazione penitenziaria. E se non è onere del richiedente provare in maniera esaustiva tale incompatibilità, per contro la richiesta deve contenere degli elementi che consentano al giudice una delibazione circa la ricaduta del caso in esame nella previsione di cui all'articolo 275 comma 4 bis c.p.p.

Per la Corte di Cassazione è inoltre infondato il secondo motivo di ricorso relativo all'incongrua valutazione delle esigenze cautelari anche in relazione alle condizioni di salute dell'imputato. In materia di misure cautelari, il pericolo di reiterazione criminosa va valutato in ragione delle modalità e circostanze del fatto e della personalità dell'imputato. Nel caso di specie, il tribunale territorialmente competente ha motivato in modo più che esauriente il suo provvedimento in ordine alle esigenze cautelari e alla idoneità della misura della custodia in carcere in aderenza ai suddetti principi di diritto laddove, attraverso un percorso logico assolutamente privo di incongruenze o contraddittorietà, ha ampiamente rivalutato il profilo delle esigenze cautelari alla luce dello stato di salute dell'imputato.


(www.StudioCataldi.it)

lunedì 16 febbraio 2015

Illegittima segnalazione alla Centrale Rischi: sì al ricorso ex art. 700 cpc

Tribunale Pescara, ordinanza 21.11.2014 n° 4687 (Antonio Di Monte)

Con l'ordinanza 21 novembre 2014, il Tribunale di Pescara, nella persona del Giudice, Dott.ssa Federica Colantonio, ha stabilito che è ammissibile ricorrere con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. avverso una segnalazione illegittima presso una Centrale Rischi quale l'EURISC, gestito dalla CRIF Spa.

Nello specifico il consumatore, a fronte di un ritardo (peraltro incolpevole) nel pagamento di due rate di un contratto di finanziamento, lamentava di non avevre ricevuto dall''intermediario la comunicazione prevista dall'art. 4, c. 7 del “Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi di informazioni creditizie” il quale, nel regolamentare le modalità di iscrizione dei soggetti sui Sistemi di Informazione Creditizie, stabilisce che “Al verificarsi di ritardi nei pagamenti, il partecipante, anche unitamente all'invio di solleciti o di altre comunicazioni, avverte l'interessato circa l'imminente registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie”.

L'intermediario, costituendosi in giudizio, chiedeva dichiararsi l'inammissibilità del ricorso exart. 700 c.p.c. poiché sarebbe stato applicabile, nel caso di specie, il rimedio cautelare tipico previsto dall'art. 10 del d.lgs del 1.9.2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69). A sostegno di tale tesi l'intermediario citava Trib. Verona, ord. 22.10.12 e ord. 14.1.13

Il Tribunale di Pescara, disattendendo tale eccezione processuale, ha statuito che nella disciplina processuale contenuta nell'art. 10, comma 4º, del d.lgs. 150/2011 non si rinviene alcun rimedio tipico volto ad offrire al cliente una tutela giudiziale destinata ad operare nelle more di un giudizio di merito, poiché la norma che introduce l’istituto della sospensione è collocata immediatamente dopo la disciplina dedicata alle modalità con le quali è possibile fare ricorso contro i provvedimenti del Garante privacy e si limita a stabilire che l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall'art. 5. Pertanto, deve ritenersi che lo speciale procedimento di natura cautelare previsto dall'art. 5 del d.lgs. 150/2011, si riferisce alle modalità con le quali è possibile ottenere la sospensione degli effetti dell'eventuale provvedimento emesso dal Garante privacy nelle more della sua impugnativa (nello stesso senso, contrario alla isolata giurisprudenza citata dall'intermediario, è bene segnalare lo stesso Tribunale di Verona, ordinanze 18.3.13, Dott. Vaccari e 7.7.14, Dott. Tommasi di Vignano; Trib. Milano, ord. 15.10.14, Dott.ssa Silvia Brat; Trib. Isernia, ord. 5.5.14, Dot.ssa Iaselli; Trib. Lecce, ord. 8.1.13; Trib. Rovigo, ord. Dott. Martinelli, pubblicata su Cassazione.net).

Nel merito, il Tribunale di Pescara ha ritenuto illegittima la segnalazione "a sofferenza" presso i sistemi di informazioni creditizie, se non preceduta dalla comunicazione dell'intermediario al finanziato, circa l'imminente registrazione dei ritardi di pagamento, come previsto dall'art. 4, c. 7 del “Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi di informazioni creditizie” (in questo senso, è utile segnalare Trib. Roma, Dott. Paolo Catallozzi, ord. 10.12.13, inedita; Trib milano, sent. n. 3716/10 del 22.3.10; decisione Arbitro Bancario Finanziario n. 126 del 15.3.10; decisione Arbitro Bancario Finanziario n. 541 del 17.6.10; decisione Arbitro Bancario Finanziario n. 176 del 25.1.11; decisione Arbitro Bancario Finanziario n. Prot. 4200/14 del 28.2.14).

giovedì 12 febbraio 2015

TRIBUNALE di TREVISO: Alcoltest inattendibile se fa freddo

Quella notte di febbraio di due anni fa, quando un carabiniere fu dichiarato positivo all'alcoltest, c'erano 5 gradi sotto zero. Per di più, il modello dell'etilometro usato dalla polizia per riscontrare la guida in stato d'ebbrezza, funzionava, secondo le istruzioni, a temperatura ambiente compresa tra 0 e 40 gradi. Il risultato di quell'alcoltest non era, dunque, attendibile. Lo ha stabilito il tribunale di Treviso, che ha assolto un carabiniere (difeso dall’avvocato Fabio Capraro) dall’accusa di guida in stato di ebbrezza. I fatti risalgono al 9 febbraio 2012. Il militare era stato fermato per un controllo da una pattuglia della polizia stradale e il risultato dell'alcoltest fu imbarazzante: 2,20 grammi di alcol per litro alla prima rilevazione, 2,16 alla seconda. Al carabiniere venne così ritirata la patente, ma lui contestò subito i risultati, viziati dalla temperatura troppo rigida, che avrebbe mandato in tilt l'apparecchio. Per questo, a processo, aveva ottenuto una analisi tecnica che il giudice aveva affidato al perito Amedeo Torzo. Il consulente tecnico d'ufficio aveva stabilito che l’apparecchio era inattendibile: il giudice gli ha dato ragione. (fa.p.)

Coltivazione di cannabis: l'offensività va verificata in concreto Cassazione penale , sez. VI, sentenza 27.05.2014 n° 21609



La sentenza 4 aprile – 27 maggio 2014, n. 21609 (Sezione Sesta Penale), pur parendo, già ad una prima sommaria lettura, porsi nel segmento dell'imperante ortodossia giurisprudenziale, che contempla, in primis, la sanzionabilità della coltivazione di piante del tipo cannabis, dalla quali ricavare sostanze stupefacenti, perchè reato di pericolo presunto, e che, in secundis, afferma che il reato de quo appare perfezionato già in presenza della circostanza che una pianta (o più piante) contenga tracce di thc, sembra, però, indicare la necessiutà di ampliare l'orizzonte valutativo, che il giudice deve scrutare in funzione del giudizio di offensività, che è chiamato a rendere.

Sostanzialmente, infatti, la S.C. riconosce che il giudice debba verificare in concreto l'offensività della condotta, parametrando il suo giudizio su dati puramente ponderali.

Tale abbrivio concettuale afferma che la offensività non può, quindi, essere esclusa se i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, quanto piuttosto solo quando essi risultino inidonei a produrre alterazioni psicotrope ed un effetto drogante.

E sin qui, purtroppo, come detto, la sentenza in oggetto pare offrire nulla di nuovo.

Scorrendo, però, le pieghe del provvedimento si nota che la Suprema Corte giunge a fornire prescrizioni operative.

Nel compiere la necessaria verifica in ordine all'offensività della condotta, il giudice, infatti, si deve soffermare
sul quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante (superando, così, quell'impostazione invalsa che segue un'analisi tossicologica non individualizzata, bensì di carattere globale)[1],
sul grado di maturazione delle piante,
su ulteriori circostanze, quali – ad esempio - l'estensione e la struttura organizzata della piantagione, dalle quali possa derivare una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (Cfr. Sez. 3, Sentenza n. 23082 del 09/05/2013, Rv. 256174, De Vita).

I tre paradigmi elencati configurano, invece, una interessante, quanto inedita evocazione positiva giurisprudenziale di criteri di valutazione, spesso, disattesi e reietti nelle sentenze sia di legittimità, che di merito.

Si deve, dunque, porre il problema di quali possano essere gli effettivi motivi che sottendono al complessivo ragionamento della Corte Suprema.

Non sfuggirà, infatti, al lettore, la circostanza che gli ulteriori canoni richiamati in sentenza, paiono presentare – alla luce del deciso indirizzo ermeneutico cui il provvedimento in commento si ispira – un carattere di sostanziale superfluità nel contesto decisionale.

Se la illiceità della coltivazione (quale espressione del principio di offensività) si ricava dalla sola presenza qualitativa di principio attivo, o al più, di un quantitativo, che, seppure al di sotto della "dose media singola" (pari a mg. 25 per la cannabis) possa provocare effetti di alterazioni psico-fisica, allora non si comprende quale efficacia possano assumere gli altri sussidiari criteri, nel complessivo giudizio sulla rilevanza penale della condotta.

L'espresso e testuale riconoscimento di un valore ermeneutico tranciante ed assorbente rispetto al paradigma quantitativo, (e cioè quello dell'efficacia minimamente drogante del THC contenuto) che la Corte opera con la perifrasi “In particolare, in tema di coltivazione di sostanze stupefacenti, non essendo requisito necessario la destinazione della sostanza alla cessione verso terzi, il dato ponderale può assumere rilevanza al fine di fornire indicazioni sull'offensività della condotta, la quale pero non può essere esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, ma soltanto quando risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dall'art. 14 del d.P.R. n. 309 del 1990”, sembra, però escluderebbe, la necessità pratica di effettuare quella attività di ricognizione di quegli elementi elencati.

Lo sviluppo del ragionamento della Corte, che ribadisce la priorità logico-interpretativa del criterio quantitativo relativo al principio attivo, relega, così, le ulteriori ipotesi di verifica soggettiva a meri dati comprimari e complementari di natura sussidiaria, i quali appaiono privati, peraltro, di rilevanza nel contesto del giudizio in ordine alla offensività.

Risulta, quindi, difficile collocare su di una piattaforma di compatibilità e di coerenza interpretativa, i due dsitinti profili, se è vero che l'uno cannibalizza l'altro assorbendolo.

Ed allora, rimane francamente – allo stato - imperscrutabile il senso delle addende interpretative contenute dalla sentenza, sol che si pensi che, nel prosieguo della stessa, la Corte evidenzia un ulteriore indizio che potrebbe fare propendere per una futura cauta apertura ad un'interpretazione maggiormente svincolata dal rigido paradigma ermeneutico vigente.

Si rileva, infatti, che, nella fattispecie oggetto del processo, si sarebbe verificata "la sussistenza di una coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e, dall'altro, la idoneità delle piante sequestrate a produrre effetto stupefacente. Gli effetti del narcotest devono, infatti, essere letti unitamente all'ingente quantitativo di piante sequestrate (95 di cui alcune in pieno sviluppo e alte due metri)".

Considerazioni importanti, queste, che – lette e rielette - non rendono affatto peregrino il possibile riaffacciarsi di quella felice distinzione fra coltivazione imprenditoriale e coltivazione domestica (disattesa in toto dalle SS.UU. nella famosa sentenza 10 aprile 2008), da considerare ulteriore proficuo canone strumentale alla decisione sulla rilevanza penale della coltivazione.

Nel caso che ci occupa, pare, comunque, di potere affermare che i canoni integrativi (grado di maturazione delle stesse, estensione e struttura organizzata della piantagione) siano stati utilizzati a riscontro del dato strettamente ponderale (di per sé già idoneo a connotare penalmente la condotta), per ricavare una prognosi della sussistenza di una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato.

Ciò posto, se questi canoni possono operare ad colorandum in negativo, perchè, parimenti, essi non possono assumere una valenza anche positiva?

Ed ancora, ci si deve chiedere quale significato vada attribuito alla preoccupazione evidenziata dalla Corte di legittimità, che sottolinea come il numero delle piante e la tipologia di tecnica coltivativa – nel caso specifico – assumano una rilevanza negativa apparendo indici di un possibile incremento del mercato.

Se, poi, è vero che i principi giurisprudenziali, tuttora accolti da più parti, affermano che la ragione della sanzionabilità penale dell'attività di coltivazione (anche la più modesta) va ravvisata nel potenziale incremento del mercato che si riconnette geneticamente a tale condotta, quale sarebbe - nel caso - la effettiva necessità di rafforzamento espresso di tale pacifico concetto?

Dobbiamo, quindi, attendere nuove pronunzie per comprendere appieno e correttamente il senso della pronunzia.

Rimane, comunque, evidente che la Suprema Corte continui a glissare su quell'elemento che, ad avviso di chi scrive, costituisce l'epigone di tutta la controversia.

Laddove, infatti, venga provato che la coltivazione persegue fini di soddisfazione personale del coltivatore/assuntore essa si pone inequivocabilmente, in una situazione di assoluta conformità rispetto al bene giuridico che la norma tutela e cioè appare compatibile con la lotta alla diffusione ed alla circolazione di sostanza psicoattive.

Coltivare per ottenere prodotto destinato ad uso personale, significa, infatti, porre in essere un comportamento che si posiziona esattamente agli antipodi della diffusione oggetto della repressione penale.

L'azione del coltivatore/assuntore si esaurisce, infatti, all'interno di una sfera del tutto privatistica, senza contatti o proiezioni ab externo, con un signoria ed una relazione diretta di disponibilità del coltivatore/assuntore rispetto alla pianta ed al prodotto finale, che, per la sua perpetuità e continuità nel tempo, appare anche superiore a quella, che la nota sentenza 10 aprile 2008 delle SS.UU. individuava in favore della detenzione, assumendola – erroneamente - come importante elemento distintivo fra le due fattispecie.

mercoledì 11 febbraio 2015

Cassazione: diffamazione, diritto di cronaca ed effetti della rettifica Fonte: Cassazione: diffamazione, diritto di cronaca ed effetti della rettifica

Corte di Cassazione civile, sezione terza, sentenza n. 1436 del 27 Gennaio 2015. 
Quando è integrata la diffamazione e quando invece l'espressione del pensiero da parte del giornalista rientra entro i confini del diritto di cronaca? E ancora, quali sono gli effetti della rettifica? La Suprema corte, nel pronunciarsi in merito a un caso appunto di diffamazione a mezzo stampa, enuncia due importanti principi di diritto.
In primo luogo, ricorda quali siano gli elementi necessari al fine dell'integrazione del reato di diffamazione.“La lesione della reputazione e dell'onore altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti: la verità oggettiva, o anche solo putativa, perchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto della gravità della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (…) e la correttezza formale dell'esposizione”. 
Nel caso di specie il giudice del merito ha accertato che non sarebbe esistita fonte attendibile atta a confermare la veridicità dei fatti contestati. 
Mentre, per quanto riguarda la funzione e gli effetti giuridici dell'istituto della rettifica, “la pubblicazione della rettifica non riveste efficacia scriminante, potendo assumere, in concreto, la sola funzione di attenuare la sanzione pecuniaria (…). Il diritto di rettifica svolge una funzione riparatoria, finalizzata a non lasciare spazio a un danno ulteriormente risarcibile, che tuttavia non elimina l'evento di danno per gli effetti in precedenza già perfezionati. (…) Tale diritto costituisce un'attività discrezionale dell'interessato, e non può mai assurgere a una sorta di dovere”. 
Il danneggiato non è in alcun modo vincolato alla rettifica e in ogni caso la stessa non è idonea a esentare totalmente il responsabile dalla condanna al risarcimento del danno. 

Alcoltest eseguito senza l'avviso della facoltà di farsi assistere da un avvocato: la nullità può essere eccepita fino alla deliberazione della sentenza di primo grado

Come è noto, gli organi di polizia stradale che sottopongono l'automobilista all'alcoltest hanno l'obbligo – ai sensi dell'art. 114 disp. att. c.p.p., in quanto si tratta di un accertamento tecnico irripetibile – di avvertirlo della facoltà di farsi assistere da un difensoredi fiducia (ma non sono comunque tenuti ad attendere il suo arrivo, v. Cass. pen., sez. IV, sent. 7967/2014). 


Nel caso in cui tale avvertimento viene omesso, l'atto è affetto da nullità a regime intermedio ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. Tuttavia, la giurisprudenza era divisa sul termine entro il quale eccepire la nullità. In particolare, secondo un primo orientamento, l'eccezione doveva essere sollevata, ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.p., a pena di decadenza, dallo stesso interessato (la persona sottoposta all'alcoltest) prima del compimento dell'atto ovvero immediatamente dopo (v. Cass. pen., sez. IV, sent. 11 ottobre 2012, n. 44840); secondo un altro filone giurisprudenziale l'eccezione doveva essere sollevata dal difensore subito dopo la sua nomina, ovvero entro il termine di cinque giorni che l'art. 366 c.p.p. gli concede per l'esame degli atti, senza che gli sia consentito attendere il primo successivo atto del procedimento (v. Cass. pen, sez. II, sent. 9 febbraio 2012, n. 14873); infine, secondo un altro orientamento giurisprudenziale, il termine ultimo per poter sollevare l'eccezione era il primo atto successivo del procedimento, ad es. la richiesta di riesame o l'opposizione al decreto penale di condanna (v. Cass. Pen., sez. V, sent. 9 febbraio 2012, n. 7654). Considerato il contrasto giurisprudenziale, la Corte di Cassazione, con sentenza 21 ottobre 2014, n. 43847, ha sottoposto la questione alle Sezioni Unite.


La Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 5 febbraio 2015, n. 5396, ha prima di tutto stabilito che “la previsione dell'art. 182, comma 2, primo periodo, c.p.p., secondo cui quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo, non può, in alcuna ipotesi, essere riferita all'indagato o imputato, per postulato non a conoscenza delle regole del diritto, e in particolare dei casi in cui la legge collega a un determinato atto o al suo mancato compimento una qualche nullità”. Dunque, non è l'indagato o imputato a dover eccepire la nullità ma il suo difensore.


la Corte poi aggiunge che “una volta escluso che possa trovare applicazione il limite della deducibilità della nullità ex art. 182, comma 2, primo periodo, c.p.p., non vi è base normativa per ancorare il limite di tempestività della deduzione di nullità al momento immediatamente successivo alla nomina del difensore, attraverso memorie, o a quello della scadenza del termine di cinque giorni dal deposito dell'atto di indagine ex art. 366 c.p.p., o anche a quello del compimento del primo atto successivo del procedimento”. Quindi, ai sensi degli artt. 180 e 182, comma 2, secondo periodo, c.p.p., l'eccezione di nullità può essere tempestivamente proposta entro il limite temporale della deliberazione della sentenza di primo grado.






Pertanto, la Corte conclude affermando il seguente principio di diritto: “La nullità conseguente al mancato avvertimento al conducente di un veicolo, da sottoporre all'esame alcoolimetrico, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p., può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto degli artt. 180 e 182, comma 2, secondo periodo, c.p.p., fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado”.






Fonte: Alcoltest eseguito senza l'avviso della facoltà di farsi assistere da un avvocato: la nullità può essere eccepita fino alla deliberazione della sentenza di primo grado STUDIO CATALDI

Il sistema bancario europeo è interessato da cambiamenti di notevole rilevanza. In risposta alla crisi, l’Unione europea ha realizzato una profonda revisione dell’architettura della regolamentazione e della supervisione sulle banche

Così esordisce la premessa all’art.1 del Disegno di Legge 3/205 A.C. n.2844 presentato per la discussione alla Camera dei Deputati:
“Il sistema bancario europeo è interessato da cambiamenti di notevole rilevanza. In risposta alla crisi, l’Unione europea ha realizzato una profonda revisione dell’architettura della regolamentazione e della supervisione sulle banche.

Ciò rende assolutamente indifferibile e urgente avviare anche in Italia un immediato processo riordino, con particolare riferimento agli istituti che, in ragione della dimensione dei profitti ma anche per le peculiarità della disciplina vigente rispetto a quella di altre forme organizzative dell’impresa creditizia, possono avere perduto o non avere mai acquisito caratteristiche mutualistiche.
Va anche considerato che uno degli effetti della crisi è stata la contrazione nell’erogazione del credito (il cosiddetto credit crunch).

In tale prospettiva è evidente che il rafforzamento e la capitalizzazione di alcune banche (le banche popolari) caratteristiche dell’ordinamento italiano del credito, attraverso il ripensamento della loro forma organizzativa, costituisce un passo essenziale per l’ammodernamento del sistema.”
La riforma, in discussione alla Camera dei Deputati, nell’affrontare l’intera tematica sulle Banche Popolari prevede specifici interventi.

Sono previsti limiti dimensionali per l'adozione della forma di banca popolare, con l’obbligo di trasformazione in società per azioni delle banche popolari (con attivo superiore a 8 miliardi di euro) e l’applicazione di una disciplina uniforme in relazione alle maggioranze previste per le vicende societarie nonché per quella relativa alle trasformazioni e fusioni.
 Le Popolari potranno emettere strumenti finanziari con specifici diritti patrimoniali e di voto e la nomina degli organi di governo non sarà più di solo appannaggio degli organi sociali.

Aumenteranno i poteri dell’assemblea dei soci e sarà limitato il cd “voto capitario” (una testa un voto), consentendo agli atti costitutivi di attribuire ai soci (persone giuridiche) più di un voto.
Il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 - TUB), sarà modificato proprio nella parte che disciplina detti Istituti (articoli da 28 a 32). 
 Le banche popolari, riconosciute dal nostro ordinamento, sono istituti di credito costituiti come società cooperative ed, in genere, svolgono la propria attività nel mercato nazionale, a differenza degli altri Istituti di credito che possono operare, anche, in mercati esteri.

Nessun socio può detenere azioni in misura superiore all’1 per cento del capitale sociale, salva la facoltà di prevedere nello statuto limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento (art.23-quater del D.L. n. 179 del 2012)
Il numero minimo di soci non può essere inferiore a duecento ed il consiglio di amministrazione può rigettare la domanda di ammissione a socio, con motivazione.


Dott.Roberto Paternico'



Fonte: La riforma delle Banche Popolari

martedì 10 febbraio 2015

Professione forense. Nel regolamento della Giustizia l’obbligo di seguire un certo numero di controversie Avvocati, cinque cause annue Necessari anche indirizzo Pec, assicurazione e versamenti alla Cassa



Milano. Verifiche triennali sul possesso contemporaneo di otto requisiti. Il ministero della Giustizia ha messo a punto lo schema di regolamento sull’accertamento delle condizioni per l'esercizio della professione di avvocato. Il provvedimento, adesso trasmesso al Consiglio nazionale forense, va a costituire un nuovo tassello di quell’opera di attuazione del nuovo ordinamento professionale il cui immediato precedente è della scorsa settimana con la pubblicazione in «Gazzetta» della riforma della difesa d’ufficio. Al centro delle misure sta una delle questioni principali per una categoria che ormai conta quasi 250mila iscritti all’Albo. Il che, oltre che a rendere indifferibile l’avvio di una riflessione sulle forme e modalità di accesso alla professione, fa diventare cruciale anche il tema della conservazione stessa dell’iscrizione all’Albo nel nome dell’effettività all’esercizio della professione.

Il testo messo a punto dall’Ufficio legislativo di via Arenula fissa innanzi tutto le scadenze cui si dovranno uniformare i consigli dell’ordine: a partire dall’entrata in vigore del regolamento, i consigli dovranno, ogni tre anni, procedere alla verifica sulla conservazione dei requisiti per l’esercizio della professione che andrà svolta in maniera effettiva, continuativa, abituale e prevalente. A essere solo un po’ più ampio è il momento del primo controllo che non potrà avvenire se non dopo cinque anni dalla prima iscrizione all’Albo.
Il regolamento puntualizza poi nel dettaglio quando la professione legale è svolta in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente. 
Serve cioè:
la titolarità di una partita Iva;
l’uso di locali e di almeno un’utenza telefonica destinati allo svolgimento dell’attività professionale, anche in forma collettiva (associazione professionale, società professionale, associazione di studio con altri colleghi);
la trattazione di almeno cinque affari per ogni anno dei tre presi in considerazione, anche se l’incarico è stato inizialmente conferito ad altro legale;
la titolarità di un indirizzo Pec comunicato al Consiglio dell’ordine;
l’avere assolto l’obbligo di aggiornamento professionale secondo modalità e condizioni stabilite dal Cnf;
la stipula di una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile che deriva dall’esercizio della professione;
la corresponsione dei contributi annuali dovuti al Consiglio dell’ordine;
il pagamento delle quote alla Cassa di previdenza forense.
Il possesso degli otto requisiti deve essere congiunto e un futuro decreto del ministero della Giustizia stabilirà le modalità con cui gli ordini dovranno individuare con sistemi automatici le dichiarazioni sostitutive da sottoporre ogni anno a controllo a campione.
La cancellazione dall’Albo è disposta quando il Consiglio dell’ordine accerta la mancanza dell’esercizio della professione legale secondo le condizioni determinate e l’avvocato non è in grado di dimostrare l’esistenza di giustificati motivi. In ogni caso, prima di deliberare la cancellazione, il Consiglio deve lasciare all’avvocato, che potrà sempre essere ascoltato personalmente se lo richiede, un termine di 30 giorni per presentare le proprie osservazioni. 
È poi possibile la nuova iscrizione per il legale che è stato cancellato quando dimostra di avare acquisito i requisiti. Reiscrizione che è in genere immediata con l’eccezione di cancellazione determinata dal mancato rispetto della condizione sugli affari trattati e di quella sull’aggiornamento: in questo caso dovrà trascorrere almeno un anno dalla cancellazione.Giovanni Negri

AGGIORNAMENTO

Secondo il regolamento del Cnf, l’avvocato deve conseguire, nell’arco del triennio formativo, almeno 60 crediti di cui 9 nelle materie obbligatorie di ordinamento e previdenza forensi e deontologia ed etica professionale. Ogni anno il legale iscritto deve conseguire almeno 15 crediti, di cui 3 nelle materie obbligatorie. È consentita la compensazione dei crediti maturati solo nell’ambito del triennio formativo e nella misura massima di 5 crediti per anno. La compensazione è esclusa per la materia di deontologia ed etica professionale

Impignorabilità della prima casa



"Equitalia ha pignorato 37.000 case nel 2010 e 44.000 nel 2011, mandando per strada altrettante famiglie, bambini compresi! Propongo che il prossimo Parlamento renda la prima casa impignorabile, poiché ritenuta bene necessario come lo sono già letto, tavolo, sedie, ecc., in ossequio al disposto dell'art. 2 della Costituzione Italiana: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". A comprova di ciò, l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo peraltro sancisce il "diritto alla tutela della loro vita privata, familiare e del loro domicilio". L’Italia ha inoltre ratificato il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali con la legge 25 ottobre 1977, n. 881. E' quindi norma di legge l’articolo 11: “gli Stati riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per se e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario, ed alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto". Non vogliamo più vedere suicidi per pignoramenti immobiliari o cartelle di pagamento! Se siete d'accordo, condividete. Per il bene di tutti."


Fonte Beppe Grillo Luigi Piccarozzi

È sottrazione fraudolenta vendere la casa familiare alla moglie poco prima della cartella di pagamento

È sottrazione fraudolenta vendere la casa familiare alla moglie poco prima della cartella di pagamento

NON ESISTE LA MONETA UNICA



Il funzionamento e la stessa esistenza della piattaforma per pagamenti bancari internazionali detta Target, dimostrano che tutto il denaro sui conti correnti bancari, anche se denominato “euro”, non è l’euro, e non è creato dalla BCE, ma dalle banche dei singoli paesi aderenti. “Euro” è solo l’etichetta applicata a realtà giuridico-monetarie diverse tra loro. Queste ragioni si aggiungono a quelle già comunemente addotte per negare che l’euro sia una moneta e che sia una moneta unica.

Conferma inoltre la teoria, già ampiamente dimostrata, che la liquidità, gli attivi dei conti correnti, siano generati dall’attività di prestito delle banche commerciali, e solo in minima parte dalle banche centrali.

Innanzitutto, dicevo, la moneta che si trova registrata sui conti correnti non è l’euro della BCE, ma un’altra cosa. Infatti, se fosse l’euro “vero”, l’euro-valuta legale della BCE, per fare un bonifico di 1.000 euro dal mio conto corrente italiano a quello del mio fornitore in Germania, la mia banca opererebbe esattamente come quando fa un bonifico a un altro conto corrente italiano, a un altro conto corrente ABI, anziché passare per Target2, cioè chiedere alla Banca d’Italia di prestarle 1.000 euro della BCE (e la Banca d’Italia lo fa indebitandosi verso la BCE), con cui viene eseguito l’accredito sul conto corrente tedesco.

Il che dimostra che gli “euro” segnati sui conti correnti italiani non sono euro veri (non sono cioè la valuta legale), non sono emessi dalla BCE, sono diversi anche dagli “euro” segnati sui conti correnti tedeschi (greci, spagnoli, finlandesi…): gli euro sui conti correnti italiani sono gli euro… dell’ABI, cioè creati dal sistema bancario italiano, e non sono accreditabili su conti correnti non italiani.

Abbiamo due riprove della veridicità di ciò.

La prima, diretta: se voglio pagare un debito estero usando gli “euro” che ho sul mio conto corrente, devo passare per il meccanismo suddescritto; se invece voglio pagarlo con euro-banconote o euro-spiccioli (cioè euro-valuta legale), posso pagarlo direttamente, versandoli sul conto corrente estero del mio creditore. Ergo gli euro del cc sono una cosa diversa, per natura giuridica, dagli euro-valuta legale.

La seconda, indiretta: Target 2 è adoperato per i pagamenti anche da paesi che non usano l’euro, ergo Target 2 è strutturata per trattare valute anche diverse dall’euro.

Si conferma quindi che il grosso del money supply, circa il 97%, è generato con strumenti essenzialmente contabili dai vari sistemi delle banche commerciali. Vi sono tanti (pseudo) euro quanti sono i paesi partecipanti all’Eurozona, e ciascuno di essi ha circolazione limitata al paese del sistema bancario che lo ha generato; e in più vi è l’euro vero, la valuta legale, cioè quello creato dal Sistema Europeo delle Banche Centrali – l’unico che circoli, che sia accettabile, in tutta l’Eurozona, tanto in forma scritturale, che in forma cartacea o metallica.

Il che ha diverse implicazioni.

Innanzitutto, gli euro che ho sul mio conto corrente sono una cosa giuridicamente diversa dagli euro che si trovano sui conti correnti degli altri paesi dell’Eurozona, anche se hanno la medesima denominazione – imposta evidentemente per creare un’illusione di identità nell’opinione pubblica.

Dissolta tale illusione, appare evidente che non solo non esiste una moneta unica, ma siamo lontanissimi da un’unione monetaria e da un’integrazione bancaria europee, e che le tesi che essa si stia realizzando o si possa realizzare sono mistificazioni di mala fede.

In secondo luogo, Target 2 conferma che la massa monetaria non è creata dalla BCE, ma dai sistemi delle banche commerciali.

In terzo luogo, appare evidente anche che il money supply denominato in euro non è creato unico per l’intera Eurozona, ma paese per paese in forma di rilascio di prestiti di banche commerciali denominate “euro” ma, nella realtà giuridica, consistenti non in euro (reali-legali), ma in promesse di euro reali-legali, emessi dalla BCE. Naturalmente, gli euro veri, oggetto delle promesse suddette, non esistono se non in minima parte, dato che, come già ricordato, il money supply consiste per il 97% circa in euro-promesse, e solo per il 3% in euro veri

Corollario del fatto che l’euro vero è solo quello della Banca centrale europea e quindi la carta moneta, mentre sui conti correnti bancari un euro solo apparente, perché è illegittimo costringere allo uso del nome euro, cioè dell’euro apparente, proibendo quello dell’euro vero, cioè della carta moneta. È un costringere la gente a spogliarsi del vero e a darlo in cambio del falso. E’ un privarla del diritto all’uso dell’unica vera moneta, della moneta legale.

Analogamente è illegittimo istituire controlli e deterrenti al deposito e al ritiro di euro veri cartacei. Sono tutte operazioni nell’interesse dei banchieri privati quali creatori esclusivi dell’euro apparente – operazioni per rafforzare l’illusione e nascondere la realtà.


1 “Transit” è l’acronimo di Trans-European Automated Real-time Gross settlement Express Transfer system




3Se io voglio pagare una fornitura che importo da un fornitore tedesco, devo chiedere alla mia banca di chiedere alla banca centrale italiana di chiedere in prestito la somma dalla BCE, e di metterla a disposizione della banca centrale tedesca in modo che questa la accrediti al conto corrente della banca commerciale del mio fornitore. Se l’Italia esposta consistentemente più di quanto esporta, succede che la banca centrale italiana accumula debiti crescenti verso la BCE, mentre le banche centrali dei paesi da cui importiamo aumentano corrispondentemente i propri crediti verso la BCE. Così è successo: alla fine del 2011 le banche centrali dei PIIGS avevano accumulato debiti verso la BCE per 600 miliardi, e la banca centrale tedesca un credito di 800 miliardi. Praticamente, la BCE finanzia le esportazioni della Germania e dell’Olanda, favorendo il progressivo indebitamento dei paesi meno competitivi; così ha creato una mina monetaria colossale. Per una descrizione del funzionamento, vedi: http://www.usemlab.com/index.php?option=com_content&view=article&id=817:il-meccanismo-target2&catid=39:politiche-economiche&Itemid=176


4Queste ragioni sono: l’euro è in essenza un sistema di blocco dei rapporti di cambio delle monete dei paesi aderenti; non esiste un bilancio comune, non esiste un sistema di trasferimenti nell’Eurozona per compensare gli squilibri delle bilance commerciali interstato, non esiste una comune banca centrale di emissione che faccia da prestatore di ultima istanza e garantisca l’acquisto dei titoli del debito pubblico; le varie monete nazionali esistono ancora, sebbene denominate tutte “euro”, perché ciascuna poggia sui titoli del debito pubblico nazionale, e ciascun debito pubblico nazionale riceve un suo proprio rating, paga un suo proprio rendimento, è soggetto a un possibile default separato dagli altri.


5 Tra gli altri, èstato dimostrato scientificamente dal prof. Richard Werner dell’Università di Southampton mediante un esperimento, che è stato filmato da una troupe televisiva. Su International Review of Financial Analysis – 36 (2014), Werner ha pubblicato un paper su questo esperimento, col titolo Can banks individually create money out of nothing? – The theories and the empirical evidence (Possono le banche creare denaro dal nulla? Teorie e prove empiriche.



Marco Della Luna

Iraq e Siria. Ecco perché gli USA hanno creato l’ISIS.



Man man – un attentato qui, qualche atrocità dell’ISIS lì – la tensione crescerà e coinvolgerà tutto il mondo musulmano.

Non appena la gravità dei fatti lo consentirà, gli americani ed Israele si schiereranno contro l’ISIS ed ogni altro eventuale ‘cattivo’, a fianco della ‘parte buona’ dell’Iraq, della Siria e degli altri paesi che riusciranno a coinvolgere, e sarà la guerra.

Guerra che naturalmente vinceranno e con la quale distruggeranno chissà quanti paesi ed uccideranno chissà quanta gente, ma all’esito della quale potranno ‘instaurare la democrazia’ (come hanno fatto in Libia) mediate dei loro governi fantocci.

Perché? Semplice: perché il solo petrolio il cui costo di estrazione sia rimasto più basso del prezzo di vendita (40/45 dollari al barile) è quello arabo, che si estrae ad 8/20 dollari al barile, per cui, siccome il petrolio americano è uscito fuori mercato, hanno bisogno di appropriarsi di quello arabo.
In pratica, per poterlo fare, la creazione dell’ISIS ed il fomentarne la violenza ed il terrorismo per poi giungere alla guerra, è un percorso obbligato..

21.1.2015

Fonte blog: Alfonso Luigi Marra

lunedì 9 febbraio 2015

Il «giudice» dei medici alla Consulta



Il possibile contrasto
con la Carta potrebbe riguardare la designazione governativa dei componenti dell’organo di giurisdizione

Spetterà alla Corte costituzionale decidere se il procedimento dinanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, chiamata a pronunciarsi in appello sull'iscrizione dei medici nonché sull'irrogazione di sanzioni disciplinari, è compatibile con

il principio costituzionale dell'equo processo e con la terzietà dell'organo giurisdizionale. In particolare, la Consulta dovrà pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'articolo 17 del Dlgs n. 233/1946 in relazione agli articoli 108, comma 2, 111 e con l'articolo 117 della Costituzione, con riferimento alla norma interposta ossia l'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che assicura l'equo processo e la terzietà del giudice. Una decisione che potrebbe avere effetti a cascata su altri organi di giurisdizione speciale competenti per i ricorsi contro i provvedimenti degli ordini professionali. A nutrire dubbi sul punto è stata la Corte di cassazione, seconda sezione civile, che, con ordinanza interlocutoria n. 596/15 del 15 gennaio e ribaltando il precedente orientamento, ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della composizione della Commissione per gli esercenti le professioni sanitarie. Al centro del ricorso alla Cassazione, la decisione dell'Ordine provinciale dei medici chirurghi e odontoiatri di Milano che aveva respinto la richiesta di un cittadino siriano il quale chiedeva l'iscrizione nell'albo in forza di un diploma di laurea libanese. Per la Commissione non era possibile estendere l'accordo di riconoscimento sui titoli, esistente con la Siria, a diplomi provenienti da Paesi terzi. La difesa del ricorrente ha avanzato dubbi sulla costituzionalità del procedimento soprattutto in considerazione del fatto che fanno parte, della Commissione, due componenti di designazione governativa, per di più incardinati nello stesso ministero citato in giudizio, in contrasto con l'articolo 6 della Cedu. Una posizione condivisa dalla Cassazione che, invece, in passato, aveva sempre respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale per violazione della terzietà e dell'indipendenza della Commissione. Rimeditando sul precedente orientamento, la Corte di cassazione, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea, solleva la questione in ordine all'equità del processo e all'esistenza effettiva di un tribunale indipendente e imparziale non convinta della composizione della Commissione nella quale sono presenti due componenti che, durante lo svolgimento di funzioni giurisdizionali, continuano a rimanere incardinati presso il ministero della Salute, che è parte del processo. Dubbi, quindi, per l'assenza di garanzie in ordine ai meccanismi di selezione e per l'autonomia dei componenti della Commissione centrale. Adesso la parola alla Consulta.
Fonte : SOLE 24 ORE

QUESTIONI SULLA EFFICACIA DELLE NORME IN MATERIA DI NOTIFICAZIONI PER VIA TELEMATICA NEL PROCEDIMENTO PENALE: RICOGNIZIONE NORMATIVA.

1. Efficienza, ragionevole durata del processo e forme di comunicazione.- In questa relazione si farà esclusivamente riferimento ad alcune questioni relative al tema della efficacia nel tempo delle disposizioni normative previste per le notificazioni degli atti in via telematica nel procedimento penale, senza affrontare, quindi, i profili di regolamentazione tecnica della materia e quelli più strettamente riguardanti l’ambito applicativo delle norme che si esamineranno. L'esigenza di semplificazione delle forme involge i rapporti fra efficienza, ragionevole durata del processo e forme di comunicazione in funzione partecipativa. Nel codice abrogato del 1930, sostanzialmente inquisitorio, la notificazione, mezzo tradizionalmente fondante il sistema delle comunicazioni, conseguiva i propri effetti solo che fosse ritualmente compiuta: era irrilevante che il destinatario avesse conoscenza effettiva dell'atto notificato. Tra i criteri recepiti nell'art. 2 della legge delega 3 aprile 1974, n. 108, sulla cui base venne redatto il Progetto del 1978, fu espressamente indicato quello della «semplificazione del sistema delle notifiche con possibilità di adottare anche nuovi mezzi di comunicazione»; l'attuale disciplina delle notificazioni recepisce solo in parte l'intenzione legislativa di evitare appesantimenti delle procedure. Conforme al modello accusatorio è, nel sistema normativo vigente, la riduzione del formalismo legale: la notificazione resta atto a forma vincolata, cioè tecnica regolata del modo con cui portare a conoscenza dei soggetti un dato evento processuale, ma, identificati i requisiti minimi perché l'operazione sia valida, il nuovo codice cerca, al fine di garantire maggiore celerità e parità tra i soggetti, la riduzione delle forme processuali attraverso procedimenti semplificati di comunicazione. 

2. Le notifiche per via telematica. In ossequio ai principi di adeguatezza e di semplificazione delle forme e allo scopo di ridurre il c.d. formalismo legale, il codice prevede procedimenti di notificazione alternativi rispetto alla forme ordinarie di consegna o di spedizione: in tale contesto si colloca la possibilità di ricorrere a nuovi mezzi di comunicazione, conformemente alle prescrizioni di cui all'art. 2, n. 9, legge delega 16 febbraio 1987, n. 81. Gli artt. 148, comma 2-bis, 149 e 150 c.p.p., disciplinano l'impiego nel processo penale (ai fini dell'attività notificatoria) di mezzi tecnici che garantiscono la conoscenza dell'atto. A seguito della diffusione del nuovo mezzo di comunicazione di massa (Internet), si è ritenuto di adeguare espressamente anche per il processo penale la disciplina delle notifiche a un sistema più rapido di informazione, prevedendo l'uso dei nuovi strumenti telematici.3 In considerazione della esperienza già avviata nel processo civile con il c.d. "Processo civile telematico" e con la c.d. "Posta elettronica certificata per il processo civile telematico" (PECPCT), con il d.d.l. 10 marzo 2009 S.1440 è stata conferita una delega al Governo in materia di riordino della disciplina delle "comunicazioni" e delle "notificazioni" del procedimento penale, al fine di realizzare la telematizzazione di questi istituti (art. 24). L'art. 28 del disegno di legge in questione, nel delegare il Governo alla digitalizzazione del processo penale, ha sancito quale criterio direttivo quello di prevedere l'utilizzo obbligatorio degli ordinari strumenti di posta elettronica certificata (PEC) - disposti dal regolamento di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 - per le comunicazioni, gli avvisi e le notificazioni destinati agli uffici giudiziari, agli avvocati, agli ausiliari delle parti e del giudice od alle amministrazioni pubbliche, anche regionali e locali. La PEC ordinaria, in particolare, è "un sistema di posta elettronica, nel quale è fornita al mittente documentazione elettronica, con valenza legale, attestante l'invio e la consegna di documenti informatici" (ricevuta di avvenuta consegna), e che, di norma, permette di attribuire al messaggio inviato per e-mail lo stesso valore di una raccomandata con avviso di ricevimento tradizionale. In ordine alla telematizzazione del processo penale, è stato approvato il d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, conv. nella l. 22 febbraio 2010, 24, recante "Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario"; tale provvedimento si caratterizza per l'adozione di misure concernenti diversi ambiti operativi. In ordine alle attività telematiche di notificazione l’art. 4, comma 2, sancisce che nel processo civile e nel processo penale, secondo le regole tecniche che verranno previste da successivi decreti, le comunicazioni e le notificazioni sono effettuate mediante PEC.

Fonte: www.cassazione.it